L’affidabilità è diventata il principale aspetto su cui costruire il successo in F1, grazie anche ai sempre crescenti vincoli che la Federazione Internazionale ha imposto alla componentistica delle power unit. Ma se da un lato la F1 si allontana dalla sua natura puramente prestazionale, dall’altro tali vincoli sono necessari affinché non si abbia un’assurda escalation di prestazioni che minerebbero la sicurezza dell’intero sistema.
di Francesco Svelto | Follow @f_svelto
L’affidabilità. Alzi la mano chi non ha sentito negli ultimi mesi, – anzi anni – che questo aspetto è ormai di fondamentale importanza per ottenere i più grandi risultati nella F1 moderna. Non è soltanto una caratteristica venuta fuori come conseguenza dell’avvento delle power unit. Le nuove unità turbo-ibride hanno, si, estremizzato il concetto ma la “reliability”, cosi come la definiscono gli inglesi, è diventata già da una decade l’aspetto primario per il raggiungimento del successo. E questo per diversi motivi.
Chi non è proprio giovincello ricorderà chiaramente come nelle epoche passate al traguardo arrivava mediamente circa la metà dei partenti o poco più. Era l’epoca in cui regnava la quasi totale libertà della scelta architetturale e delle tecniche di costruzione. Vi era una sfida aperta tra i costruttori per la ricerca e lo sviluppo più avanzato ed estremo. Poi si iniziò a limitarne le fantasie progettuali, imponendo prima le architetture e poi, addirittura, il numero di unità utilizzabili in stagione.
Il 2018 non farà eccezione e seguirà questa curva sempre crescente che è il bisogno estremo di non rotture. L’affidabilità giocherà un ruolo ancora più importante perchè saranno soltanto tre le power unit liberamente applicabili su ogni macchina (macchina, non pilota, da notare la sottile differenza). Tre power unit, qualcosa come una ogni sette GP. Sono dati che vanno inesorabilmente contro quella che è la filosofia e la tradizione della F1, massima espressione della velocità su quattro ruote. E quindi sarà sempre di più lotta al risparmio, a chi riesce a portare a casa il miglior risultato senza sforzare troppo le componenti del motore. Va cosi ormai, da diversi anni. Addio pura prestazione, pura velocità.
A proposito, giusto per completezza di discorso precisiamo che le componenti della power unit sono ben sei e che alcune di esse dovranno durare fino a 11 GP, ossia la metà delle chilometraggio dell’intero anno. Ne abbiamo parlato in dettaglio qui: (https://www.f1sport.it/2017/09/power-unit-2018-nuove-restrizioni-penalita-e-sviluppi-ridotti/).
Ma chi parte avvantaggiato e chi avrà del lavoro da fare in tal senso? Sicuramente Mercedes è un passo avanti non solo per prestazione ma anche per affidabilità. I campioni del mondo in carica hanno avuto praticamente un solo problema in tal senso nella stagione scorsa (Bottas in Spagna), forti anche di un progetto valido sin dalla sua nascita nel 2014 e poi pian piano evoluto sotto tutti gli aspetti. Ricordiamo che Lewis Hamilton ha volutamente preso penalità nel penultimo appuntamento stagionale del 2017, in Brasile, solo perchè si erano verificate condizioni favorevoli in tal senso (titolo mondiale già acquisito ed errore nelle qualifiche del sabato che non gli hanno fatto superare la Q1). Altrimenti nulla vietava all’alfiere delle frecce d’argento di concludere la stagione con i quattro motori permessi dal regolamento. Impressionante.
La Ferrari lo scorso anno i suoi problemi li ha avuti. Questo perchè si è trovata a dover spingere sull’acceleratore delle prestazioni dopo Monza ed ecco che, quindi, quell’equilibrio precario tra prestazione e affidabilità è venuto meno. Per la stagione alle porte si sa poco o nulla sul fronte motoristico della rossa. Dal blog di Leo Turrini apprendiamo che sia stato svolto un grosso lavoro di snellimento sul motore che, inevitabilmente, gli uomini di Maranello avranno dovuto bilanciare con la ricerca della resistenza. Soltanto i primi test ci diranno se l’intento è stato effettivamente raggiunto o ci sarà ancora del lavoro da fare.
Per Honda e Renault discorso a parte, con entrambi i costruttori che erano messi veramente male – per diversi motivi – a fine anno scorso e con, addirittura, i francesi che hanno chiesto nella recente riunione dello Strategy Group di Londra di poter rivedere il limite delle tre unità e passarle nuovamente a quattro, come nel 2017. E questo non può che essere un segnale di qualcosa che non va propriamente nel verso giusto.
Ma perchè questa affidabilità a tutti i costi? La Federazione ha fatto praticamente all-in su questo aspetto con la volontà ben precisa di abbattere i costi per le parti in gioco e attrarre nuovi motoristi e costruttori che potrebbero anche passare la tecnologia ad eventuali auto di serie. Ma se da un lato il tentativo della riduzione dei costi è risultato vano fino ad oggi (pensiamo a quanti soldi vengono spesi in CFD, simulatori e altre diavolerie software, ma questa è un’altra storia), dall’altro l’imposizione di tali limiti è una scelta rivelatasi assolutamente necessaria anche per evitare una escalation incontrollata delle prestazioni dei motori. Si immagini, oggi, nel 2018, un normale weekend di gara con possibilità di avere magari il motore per la qualifica e quello per la gara. Avremmo praticamente dei mostri capaci di scaricare sul manto d’asfalto oltre 1500 cavalli con velocità che supererebbero anche i 400 km/h i particolari condizioni. Affascinante da un lato ma razionalmente un’assurdità che minerebbe ripetutamente gli standard di sicurezza attuali.
Francesco Svelto