domenica, Dicembre 8, 2024

Il marchio Alfa Romeo nella grande storia della Formula 1

Dire Alfa Romeo è anche dire Formula 1. La casa del Biscione ha segnato la storia della massima formula, in particolare all’inizio della sua storia e con ritorni a più riprese.

di Giulio Scaccia 

Nel 1950 Nino Farina vinse l’edizione inaugurale del Campionato mondiale di Formula 1 su un’Alfa Romeo 158 sovralimentata. Il primo anno l’Alfa Romeo vinse 6 Gran Premi su 7 imponendo un dominio totale della scuderia, che piazzò in classifica ai primi tre posti i suoi piloti di punta: Anche l’edizione successiva del Campionato fu conquistato dall’Alfa Romeo, con Juan Manuel Fangio su una 159: vinse 4 Gran Premi su 8. Juan Manuel Fangio era seguito in classifica dal ferrarista Alberto Ascari e dagli alfisti Gonzales e Farina.

Nel 1952 l’IRI, l’ente pubblico che era proprietario dell’Alfa Romeo, decise di ritirare la scuderia dalla Formula 1 a causa della crescente concorrenza delle altre squadre, in particolar modo della Ferrari. Il Governo italiano, infatti, si rifiutò di destinare fondi per la costosa progettazione del nuovo modello di vettura.

Nel 1962, 1963 e 1965 ricomparve un motore Alfa, un 4 cilindri in linea, lo stesso come base della  Giulietta 1.5 che non ottenne nessun risultato di rilievo n pista.

Nel 1970 e 1971 un altro tentativo, con l’installazione del motore V8 della T33 sulla McLaren guidata da Andrea De Adamich. La Tipo 33 era una vettura da competizione prodotta dall’Alfa Romeo dal 1967 al 1977. Ha partecipato principalmente al campionato del mondo sportprototipi, al campionato CanAm e alle cronoscalate. Un modello importante per l’Alfa, in cui Carlo Chiti diede il meglio di sé nella parte motoristica. Numerosi i successi, di classe.  Sia sulla McLaren di De Adamich che sulla March dell’anno successivo i risultati non arrivarono. E qui arrivò un altro stop.

Serviva ulteriore tempo per essere competitivi e così, dopo 4 anni di pausa, nel 1976 l’Alfa tornò come motorista a fianco della Brabham.

Bernie Ecclestone, proprietario del team Brabham, fece un accordo con l’Alfa Romeo per la fornitura di motori dal 1976 al 1979. I propulsori, progettati da Carlo Chiti, erano boxer a 12 cilindri e producevano una potenza di 510 cv contro i 465 cv d Cosworth DFV. La configurazione del motore era però complessa e il propulsore era non certo parco nei consumi. Il 1976 e il 1977 portarono una serie di piazzamenti al podio ma nessuna vittoria.

Con l’arrivo di Niki Lauda transfuga Ferrari ecco le vittorie: l’austriaco si impose in Svezia e a Monza.

Quando però l’effetto suolo diventò importante nella progettazione delle monoposto del 1978, fu chiaro che i bassi e larghi propulsori interferivano con il flusso d’aria incanalato nei tunnel sotto la vettura, necessari per creare la depressione sotto la vettura. Se ne accorse a sue spese anche la Ferrari, costretta a virare, dopo la vittoria del mondiale 1979, verso il motore turbo. Per richiesta di Murray, nel 1979 l‘Alfa Romeo progettò e produsse in soli tre mesi un motore V12 più stretto. Però anche questo propulsore fu caratterizzato da un alto consumo di carburante e da una non eccelsa affidabilità: Nessuna vittoria se non quella di Lauda a Imola, in una gara non valida per il Campionato.

Nel frattempo, l’Alfa Romeo stava lavorando tramite l’Autodelta di Carlo Chiti per il ritorno a tutti gli effetticome Costruttore.

Giulio Scaccia
Giulio Scaccia
Giornalista ed appassionato, seguo la Formula 1 dal 1978. Da Gilles Villeneuve a Michael Schumacher, sempre la Ferrari nel cuore.

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