Interlagos, impegnativo circuito intitolato a Carlos Pace

Da San Paolo a Rio de Janeiro e ritorno. Questa la storia che in 45 anni ha caratterizzato una delle tappe più interessanti, e certamente fondamentali, della storia della Formula 1, il Gran Premio del Brasile, gara che nel corso degli anni ha saputo cambiare pelle, passando dall’essere apripista della stagione fino a diventare, invece, gloriosa passerella finale del Campionato.

Teatro della penultima gara della stagione lo storico circuito di Interlagos, che nel corso degli anni (vi si corre dal 1972, in cui vi fu una gara fuori campionato) ha visto l’affermazione di diversi campioni verdeoro, da Emerson Fittipaldi ad Ayrton Senna, da Carlos Pace, cui è intitolato il circuito, a Felipe Massa. Pesano in questo albo d’oro due assenze importanti: quella di Nelson Piquet (che però ha vinto a Jacarepagua) e di Rubens Barrichello, che ha sempre accarezzato il sogno di vincere in casa, ma spesso per sfortuna non è mai riuscito ad acciuffare il gradino più alto del podio.

Si tratta di un circuito medio-veloce, che si caratterizza per una prima parte particolarmente veloce: infatti, dopo aver attraversato il rettilineo d’arrivo e aver imboccato la “S di Senna”, con l’intitolazione che è stata tributata al fuoriclasse paulista dopo la sua scomparsa, e la “Curva do Sol”, si arriva nella “reta oposta”, il rettilineo di ritorno, che termina nella “Descida do lago”, curva che si affronta in terza marcia. Un breve allungo e si entra nella parte mista del tracciato: si affrontano, in serie, Ferradura, Pinherinhio, Laranja, la frenata del Bico de Pato, Mergulho e il curvone Juncao. E’ praticamente l’ultima insidia prima della Sobida de boxes, l’allungo che porta i piloti a una rapida scalata prima di arrivare a immettersi nel curvone Arquibancadas, in pendenza, per ritornare sul rettilineo d’arrivo.

Scorrendo l’albo d’oro di Interlagos, una delle edizioni più interessanti e intriganti di corse 40 anni fa, nel 1977, quando la gara si svolse ancora sul vecchio tracciato di quasi 8 chilometri. In questa gara, a mettersi in luce, saranno i rivali di Niki Lauda, primo tra tutti colui che gli soffierà il titolo sul Monte Fuji nel 1976, vale a dire James Hunt, che scatterà dalla pole position, seguito da quello che forse è l’avversario più temibile per l’austriaco, vale a dire il suo compagno di squadra Carlos Reutemann. Enzo Ferrari non mandò giù il “gran rifiuto” dell’austriaco di correre sotto il diluvio giapponese; di più, mal sopportava l’atteggiamento di un Clay Regazzoni, a suo dire, troppo poco dedito alle corse e attratto dai piaceri della vita.

Fu così che, a inizio 1977, non si fece perdere l’occasione e sostituì il ticinese con Reutemann, con il chiaro obiettivo di puntare su di lui nella corsa iridata. L’argentino non si farà pregare due volte e proprio in quella gara, quando Interlagos aveva un layout ancora più massacrante dell’attuale, infliggerà una dura lezione al compagno di squadra. In qualifica, infatti, se Reutemann scatterà in prima fila a fianco di Hunt, per Lauda le cose si metteranno malissimo: in griglia partirà infatti tredicesimo. Ma l’argentino non ha ancora esaurito le sue cartucce e la domenica, in gara, vivrà la sua consacrazione. Se Hunt, infatti, sembra poter tenere testa nelle prime fasi, più o meno fino a metà gara, le sue coperture accusano qualche problema che permette a Reutemann di superarlo e prendere così il comando della gara. Niki Lauda, intanto, approfitta dei guai e delle sfortune degli avversari per rimontare fino al terzo posto, ma non basta. L’umiliazione inflitta da Reutemann è troppo dura da mandare giù, Ferrari ha trovato il suo nuovo campione e lo fregia dei galloni di prima guida. Ma non ha fatto i conti con il leone austriaco, ferito ma mai domo, che già a Kyalami si riprende con gli interessi. Ma questa è un’altra storia.