La Ferrari, in difficoltà in questa fase della stagione dopo il promettente inizio, è in attesa delle decisioni di Sebastian Vettel. I tempi cambiano ma a Maranello un tempo le questioni venivano gestite diversamente.
di Federico Sandoli e Giulio Scaccia
All’indomani del Gran Premio d’Inghilterra dove i sogni di vittoria si sono trasformati nell’incubo della sconfitta, la Ferrari è chiamata a una prova d’orgoglio, l’ennesima, in Ungheria.
Mentre il reparto corse sta studiando la strategia e i correttivi coi i quali affrontare il GP magiaro, il tema mercato e quella che sarà la line up della Rossa nel 2018 è un tema caldo.
Il nervosimo del tedeschino Vettel, non lascia presagire nulla di buono, anche se pensare che divorzi dalla scuderia italiana è abbastanza inverosimile: un successo marcato Ferrari può portare un eco impensabile con qualsiasi altra marca, anche con una stella a tre punte. Lascia esterefatto, per chi ha vissuto i gloriosi giorni di Enzo Ferrari, vedere la scuderia prostrarsi al suo campione mettendo sul piatto cifre impensabili fino a qualche anno fa. Addiritura per accontentarlo la Ferrari è disposta a confermare il quasi trentanovenne Raikkonen, campione cristallino inesorabilmente avviato a un lento ma inesorabile viale del tramonto.
Giova ricordare che ai tempi del Drake le cose venivano gestite in modo molto diverso. Per propria convinzione il Vecchio, non era certo disposto a spendere cifre iperboliche, forse solo con Fangio lo fece ma ebbe il tempo di pentirsene in fretta. Ferrari mai avrebbe accettato di far correre un campione del mondo affermato e soprattutto non avrebbe accettato di vederlo nervoso e spesso in contraddizione con la squadra come ha fatto spesso Vettel lo scorso anno.
La filosofia di Ferrari prevedeva che un pilota dovesse sposare in toto la macchina immedesimandosi nei suoi pregi e accettandone i suoi difetti. Ricorda Romolo Tavoni, anziano ex direttore sportivo, che se il Drake non scorgeva una passione per la sua macchina spesso non formalizzava un accordo rimandandolo a data da destinarsi. Questo perché in ogni caso è sempre la Ferrari che vince, non il pilota, questa era la filosofia.
All’indomani del successo monzese di Scheckter, nel 1979, col quale si aggiudicò matematicamente il titolo, il Drake regalò al suo pilota solo un fermacarte del cavallino, per altro danneggiato, a rimarcare a un irritato sudafricano che il valore aggiunto era della macchina. Il Drake da grande talent scout sapeva scovare, grazie alle riprese televisive ed ai suoi collaboratori, campioni che con le sue macchine riuscivano a maturare, diventando assi del voltante. Ricordiamo Niki Lauda preso per poche lire ma subito in grado di dimostrare quanto elevato fosse il suo valore, o come Gilles Villeneuve, che rese il rosso più splendente che mai.
Forse le basi per il cambiamento furono gettate nel 1984, quando la Marlboro apparve per la prima volta sulle rosse. Alla presentazione della 126 c4, prima monoposto con l emblema dello sponsor tabaccaio, un giornalista della Gazzetta chiese a Ferrari di giustificare come mai avesse deciso di usare uno sponsor non tecnico sulle sue monoposto. Un Ferrari irritato ricordò al giornalista che gli sponsor fornivano accessori, quindi la Marlboro, in quanto finanziatrice dei piloti, ed era comunque lo sponsor di un accessorio.
Gli anni sono passati ma è brutto vedere che la Ferrari sta pian piano diventando un accessorio tra le mani di piloti strapagati.