Oggi è un giorno particolare, perché si celebra un compleanno speciale. Non quello di un pilota o di un personaggio qualsiasi, ma di una leggenda. Non stiamo usando questa parola a caso, anche perché stiamo parlando sempre e comunque di un Campione del mondo, ma proprio quel titolo iridato lo ha consegnato per sempre nel mito di questo sport, che ha costruito cavalieri del rischio capaci di rimanere immortali anche quando la vita terrena è destinata tragicamente a finire.
Certamente risulterà chiaro che stiamo parlando dell’unico Campione del mondo dichiarato postumo, al secolo Jochen Rindt, che oggi avrebbe compiuto 75 anni, al quale è dedicato il ritratto numero 51 della serie dei personaggi che hanno fatto la storia (anzi, in questo caso sarebbe giusto dire la leggenda) della Formula 1. Un mito, appunto, costruito in terra americana, là dove ha conquistato la sua prima nettissima affermazione e là dove ha conquistato la certezza matematica dell’iride, con gli attacchi di Ickx fermati dalla vittoria di Fittipaldi.
Se si dovessero usare 3 aggettivi per descrivere il tedesco naturalizzato austriaco sarebbero questi: carismatico (ai limiti dell’autoritario), temerario e al contempo umile. Uno che non aveva ambizioni particolari se non quella di correre, per usare una battuta cara a Gilles Villeneuve, “correre più veloce degli altri”. Un modo, forse, per esorcizzare le sue paure e i suoi problemi che si portava sin dall’età scolare, quando dovete sopportare l’enorme peso della perdita di entrambi i genitori sotto i bombardamenti alleati. Lui, però, non si fermò davanti a nulla, tirando fuori una vecchia frase di Otto von Bismarck: “Noi tedeschi temiamo Dio e null’altro”!
Una dichiarazione di sfida che lo ha completamente trasformato non appena si è seduto al volante di un’auto da corsa, tanto che non appena prese in mano il volante di un’auto da corsa, da come la guidava, sembrava che quel bolide fosse diventata la valvola di sfogo di tutti i suoi dolori e le sue paure.
Indiavolato e tanto, tanto veloce. Una passione per le corse che lo portò a vendere l’azienda di famiglia per pagarsi le prime gare, che affrontava sempre con piglio deciso, pur essendo assolutamente consapevole dei rischi che correva. Jochen infatti aveva un idolo abbastanza scomodo: Wolfgang Von Trips, perito a Monza nel 1961 nel giorno in cui la Ferrari, scherzo del destino, conquista il titolo con Phil Hill. Il tedesco sa bene che il suo percorso può portarlo a destini tragici, ma proprio per questo lo vuole affrontare al massimo delle sue possibilità, perchè è quello che gli piace di più. E come tutti i piaceri, è pericoloso.