Il rapporto tra la F1 e gli Stati Uniti: sempre difficile e senza amore, nonostante l’esperienza degli anni 2000 ad Indianapolis.
L’America e la F1 è sempre stato un matrimonio senza amore: i circuiti, seppur affascinanti, non riuscivano a far scattare la scintilla della F1 nell’animo degli americani.
Gli Stati Uniti sono da sempre isolazionisti dal punto di vista motoristico, nemmeno i vari exploit del passato ad opera di Parnelli o Haas, sono riusciti a calamitare l ‘attenzione degl’appassionati.
L’eccezione l’ha fatta Mario Andretti, non solo perché era bravo, quello è indiscutibile, ma anche, se non soprattutto, perché correva con licenza americana ed è stato il re di Indianapolis e campione del mondo di F1-
All’inizio degli anni 2000 il richiamo degli Usa non lasciò la F1 indifferente e Ecclestone colse l’occasione al volo per convincere le autorità motoristiche americane adorganizzare una corsa sul mitico catino dell Indiana apportunamente modificato.
Fu così che al primo gp di Indianpolis il pubblico, dal palato sopraffino, vide vincere la Ferrari di Schumacher, ma rimase anche colpito dal duello impossibile tra la Minardi di Mazzacane e la McLaren di Hakkinen, in rimonta dopo uno jump start, che si risolse col ritiro di quest’ultimo che in pratica consegnò il titolo al tedesco della Ferrari.
Forse sarà stato il richiamo della pista, ma in un circuito come INdy la leggenda della F1 ha sempre ben figurato: chi non ricorda la bandiera americana sfoggiata dalla Ferrari sui deviatori di flusso per rendere omaggio agli Stati Uniti ancora feriti dalla sciagura dell’11 settembre o lo spettacolo messo in atto da Schumacher nel 2003.
Il tedesco, con una spettacolare condotta di gara sull’asfalto bagnato, elemento che ha sempre attirato l’attenzione del pubblico visto che in America con la pioggia si è soliti non gareggiare, recuperando dalla settima posizione in griglia andò a vincere, unico a riusicre ad interpretare al meglio l’asfalto che andava via via asciugandosi.
Queste corse, sembravano aver fatto scattare l’amore per la categoria negli americani fino al 2005, anno della sciagurata regola del divieto del cambio dei pneumatici, quando le macchine gommate Michelin decisero di ritirarsi dopo il giro di ricognizione per la palese inefficenza delle coperture francesi. Con solo sei macchine in pista, non bastò la vittoria della Ferrari a far calmare la collera del pubblico presente, quel giorno la Ferrari vinse ma la F1 non convinse.
L’edizione del 2006, un GP vero, vide il continuo dominio della Ferrari di Schumacher ma anche l’arrancare di Montoya, altro talentuoso pilota con licenza americana tanto che le autorità sportiva statunitensi, visto il calo d’interesse da parte del pubblico, decisero di non rinnovare più il contratto annunciando che quella del 2007 sarebbe stata l’ultima edizione del gp di Indianapolis.
Indianapolis fu una bellissima parentesi che dava lustro alla categoria europea, ed ancora oggi che si corre ad Austin la gara nel famoso catino dell’indiana crea ancora delle nostalgie.