F1 | Pirro a Pit Talk: “Verstappen ha portato la battaglia ad un livello più alto”

Emanuele Pirro, vincitore cinque volte della 24 Ore di Le Mans, ex pilota di F1 e commissario FIA dal 2010 è ospite a Pit Talk. Racconta dell’addio dell’Audi al WRC, di Rosberg, delle regole dell’attuale F1 e di come i piloti approcciano le gare oggi.

di Giulio Scaccia

Una prima domanda sull’attualità. Ti ha più colpito l’abbandono di Rosberg da campione o l’abbandono dell’Audi dal Mondiale Endurance?

Mi hanno colpito entrambe in modo diverso ed hanno avuto un impatto importante. L’uscita dell’Audi dal mondiale Endurance è la fine di una avventura incredibile che forse si appprezzeraà in pieno solo tra qualche anno. Una avventura tecnologica a cui io ho partecipato fin dai primi metri. Una cosa dal forte impatto emotivo. Il ritrio di Rosberg mi ha fatto riflettere. La prima cosa che mi è venuta in mente era la perdita di una persona brava sia al volante che fuori della pista, con uno stile ed una educazione che pochi hanno. La seconda sensazione è stata di grande rispetto. Nella storia delle corse come nella vita ci vuole un coraggio straordinario per rinunciare ad una macchina vincente, ad un contratto così importante,  e questo merita rispetto e fa anche un po’ capire quanto è difficile rimanere a certi livelli. Dietro c’è lavoro, impegno ed intensità ed a un certo punto puoi arrivare a dire che non ce la fai più.

Nuovi regolamenti per il 2017. F1 più pericolose forse. Come lo vedi questo mondiale che sta arrvando?

Dal punto di vista del tifoso, qualsiasi cambio di regolamento che sposta i valori in campo, va visto in termini positivi. Io personalmente ho iniziato a correre con i kart nel 1973, ho visto un cambiamento verso il peggio di tutti i circuiti del mondo in nome della sicurezza. La sicurezza è importante ma la tecnologia ha prodotto macchine sempre più veloci che necessitano di circuiti sempre più lenti, vie di fuga sempre più larghe. Questo è stato negativo, perché lo spettacolo non è dato dalla velocità delle macchine, ma dalla difficoltà di guida, dai duelli, dagli errori dei piloti. Il motivo per cui noi amiamo questo sport è perché sappiamo quanto era difficile dagli anni ’50 agli anni 80. Vedevamo piloti che sbagliavano, piloti sporchi di olio a fine gara e con le mani piagate. Si è andati verso una perfezione troppo asettica che toglie un po’ di personalità al tutto. Chi regola la F1 pensa che questi 3 o 4 secondi in più di velocità aggiungeranno spettacolo. Secondo me non è vero, anzi. Per esempio, più gli spazi di frenata sono corti, e più è difficile superare chi hai davanti. Se vuoi superare il tuo avversario devi frenare quei 4/6 metri più tardi per sorpassare chi ti sta davanti. In percentule su 200 metri 4/6 metri è poco, su 80 metri è tantissimo. Dal punto di vista estetico invece le ruote larghe mi ricordano le vecchie F1 e non mi dispiace.

I regolamenti oggi che ingessano la F1, che ne pensi? Gli appassionati dicono che i piloti andrebbero lascati più liberi.

Argomento serio e delicato: il mondo si evolve ed anche lo sport. Stiamo andando in un mondo che non accetta più niente di sbagliato. Mentre prima un ferito o un morto in corsa era quasi normale, oggi non ce lo possiamo permettere e subito viene puntato il dito contro il nostro sport. E questo è normale ma poi a volte è ipocrita. Ad esempio nell’incidente di Jules Bianchi ho letto delle cose che mi hanno fatto male e molta ipocrisia. Nel mondo muoiono milioni di persone per incidenti stradali. Inoltre bisogna fare una riflessione. Nei tempi passati c’era buon senso da parte dei piloti, perché una manovra sbagliata poteva essere davvero rischiosa. Un tempo c’era più rispetto e cavalleria. Poi si è cominciato a chiudere la porta durante i sorpassi.  Ora tra l’altro Verstappen ha inserito un ulteriore elemento, perché lui aspetta l’attacco per portarsi all’interno e questo è pericoloso. Oggi i piloti vogliono sapere con precisione cosa è consentito e cosa è vietato. Non pensano se una manovra è eticamente sbagliata o se è pericolosa. E’ una mentalità che risulta ancora più accentuata nelle gare di Formula 3, dove anche lì sono commissario anche con maggior soddisfazione perché lì puoi plasmare i giovani piloti. I giovani non hanno paura e non hanno istinto di conservazione, forse perché è tutto così sicuro e serve allora un’autorità che ti dica cosa puoi fare e cosa non puoi fare.

Possiamo dire che i piloti di oggi sono anche incoscienti perché le macchine sono troppo sicure?

Questo anche nella vita normale. La vita dei nostri padri era più difficile. Ti faccio un esempio, oggi se il pavimento è bagnato te lo segnalano. Ieri se cadevi per terra con il pavimento bagnato te la prendevi con te stesso. Oggi con un buon avvocato se cadi e non è segnalato ci prendi magari dei soldi. Il mondo è cambiato. Oggi i nostri figli li proteggiamo in tutti i modi. Per noi era diverso. Ti facevi male e imparavi a evitare i pericoli.

Non pensi che a Verstappen gli sia concesso troppo rispetto agli altri? Tecnicamente poi come mai riesce a fare cose che ad altri non riescono?

Riescono a lui perché ha portato la battaglia ad un livello più alto. Ha una percezione spazio temporale che nessuno altro pilota ha. Ero commissario a Suzuka quando Verstappen si è difeso dall’attacco di Hamilton. Io non penso che Verstappen sia un pilota pericoloso, sa quello che fa. E sa anche cosa può fare e cosa non può fare nel confronto con questo o quel pilota. A fine Gran Premio a Suzuka l’ho chiamato in sala commissari e gli ho detto: ‘quello che fai lo fai benissimo, ma i giovani ti stanno guardando e non hanno la tua abilità, ed è potenzialmente pericolossissimo . Non ti posso e non ti voglio penalizzare, ma contribuirò a riscrivere le regole’. Lui è stato veramente bravo. Ha capito il discorso e si è fatto un passo avanti, riscrivendo un altra di queste antipatiche regole.

Ultima domanda. Nel 1988, prima del tuo arrivo in F1 eri collaudatore McLaren in Giappone ed hai lavorato con due grandissimi, Senna e Prost. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Mi hanno lasciato tantissimo e  quando posso cerco di trasmetterlo agli altri. Con un po’ di superficialità si pensa che questi campioni sono così perché sono baciati dalla fortuna. Questo è parzialmente vero. Hanno si un talento unico, ma ci mettono intensità dedizione, impegno, attenzione ai dettagli. Sono diventato un uomo migliore e un pilota migliore prendendo esempio da loro. Da questo voglio mandare un messaggio: cerchiamo di accontentarci un po’ di più e cerchiamo di capire cosa possiamo fare per migliorarci, prendendo spunto da loro. Vedere le cose, accettarle ed amarle. E’ una ricetta per lo sport e la vita.

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