Parliamo ora del fenomeno del momento, Max Verstappen. Il ragazzino ha portato molto entusiasmo in F1. Si potrebbe dire che è un personaggio controcorrente. Qual è la tua opinione tecnica sul figlio di Jos e che impressione ti ha fatto umanamente parlando?
Il suo approccio è quello di una persona gentile e tranquilla, sembra tutto il contrario di quello che è in pista nei momenti di trance agonistica. Grazie a Dio abbiamo Verstappen, averne due o tre come lui… Continuiamo a pensare, scemamente, oramai invasati dalla nostra cultura televisiva, che siano i format a creare le storie. No. Sono le persone, le grandi persone che creano grandi storie. La lezione che possiamo trarre da due grandi narratori come Stendhal e Joseph Conrad, attraverso i loro racconti di epica, di avventura e di grande umanità, è che sono i piccoli grandi uomini dotati di talento a creare grandi storie. Piccole personalità che diventavano grandi perché vivevano grandi storie e ci facevano sentire orgogliosi di essere lettori. Tutti sono alla ricerca della regola che migliori, ma non esiste. L’umanità va lasciata in pace, lasciata libera di esprimersi. Verstappen non è il Messia, ma è la regola più intelligente che è stata introdotta negli ultimi dieci anni. Grosjean era spettacolare, poi l’hanno ‘bonificato’ e ora è un noiosissimo pilota, hanno distrutto la sua voglia di osare. Quando riprendono un pilota e gli fanno il mazzo, non è brutto solo per lui, ma anche per tutti quelli che vengono dopo di lui. E anche per quelli che vengono prima. Punirne uno, per diseducarne cento in questa F1. Questo è il brutto, si diventa tutti piloti da compitino.
Un tuo giudizio su Juan Pablo Montoya, uno dei piloti più controcorrente che abbiamo avuto nella F1 moderna.
Mamma mia! Aveva davvero il sorpasso in canna. Montoya fu avvantaggiato perché all’epoca alcune manovre si potevano ancora fare, non a caso quando è andato in Nascar si era rotto le scatole perché, citando l’Autosprint dell’epoca, era diventato pericoloso per sé e per gli altri. Filosoficamente parlando era diventato un corpo estraneo. Ma sapeva guidare! Nella F1 del giorno d’oggi è come se ti levassero un punto perché segni un goal in rovesciata perché ti viene fischiato gioco pericoloso. Ma che senso ha?
Spendiamo due parole sul DRS, un’introduzione che sin dal primo minuto molti appassionati e giornalisti hanno bollato come amenità. Cosa ne pensa Mario Donnini?
Se nel calcio fosse successo quello che è successo nell’automobilismo, ovvero una rivoluzione ammosciante così terribile e così sciocca, i tifosi del calcio i legislatori li avrebbero appesi alle traverse delle porte. Il DRS che cos’è? Hanno allargato le porte, così segna anche mia zia. Ma che senso ha? L’avessero fatto nel calcio, gli ultras sarebbero scesi dagli spalti, avrebbero invaso la sede della FIFA e avrebbero appeso Blatter per le orecchie alla scrivania.
Sai che ti dico? Che se in F1 dicono che le vetture devono correre con il cassone del furgone del latte, noi lo accettiamo. Nell’automobilismo manca la capacità di indignarsi, cosa che invece nel calcio abbonda fin troppo. Parliamo inoltre dell’Halo, che è una vergogna anche scientifica. Il visus con qualcosa davanti è pericoloso. Prendendo come esempio l’incidente di Massa a Budapest, l’Halo non l’avrebbe impedito. Se ti arriva un comò in testa magari ti salva, ma se ti arriva addosso un oggetto più piccolo no. Al prezzo di vedere il mondo a scacchi o come in galera oltretutto. E’ assurdo! Dobbiamo tutelare il rischio, non la sicurezza. Devi evitare di mettere piloti e spettatori in un meccanismo mortale, che significa Motorsport is dangerous, ma facciamo di tutto perché il rischio sia ragionevole. Non si riuscirà mai a creare un sistema di sorpassi autostradalmente ineccepibile così come nell’A4, dove esistono rischi e problemi a maggior ragione. L’autostradalizzazione della F1 è impossibile. L’evoluzione delle fasi agonistiche è casuale il più delle volte. Ciò che andrebbe ripreso a mio avviso, concordo con te, è il concetto addirittura justinianeo del diritto penale. Quel che conta è l’Animus, la volontà di quello che il soggetto sta facendo.
Parliamo ora di Liberty Media. Che prospettive vedi per la Formula 1 e che contributo pensi possa dare alla massima serie?
Parliamo di una matrice intimamente statunitense. Quindi mi verrebbe da pensare che, se ciascun corpo porta un’anima, non possiamo certamente andare peggio: primo, siamo messi talmente male che penso sia impossibile fare peggio di così. Secondo, considerando come detto prima la matrice statunitense, quando si parla di tutela del rischio e quando si parla di spettacolo che viene offerto gli americani sanno il fatto loro. Guarda la Nascar, c’è anche sostanza non è solo fuffa, è l’unico posto al mondo in cui il muro è una religione. Se hanno un approccio ‘USA oriented’ diventa interessante, le gare prototipo LMS hanno visto circuiti con le palle, anche in Indycar, ovali e stradali ‘cazzuti’, se avessero questo tipo di sensibilità non sarebbe affatto male. I grandi cultori del Motorsport duro e puro sono americani, anglosassoni vecchio stile e aggiungo in parte francesi: quelli della Dakar francoalgerina africana e quelli di Le Mans. Questa è la nostra civiltà.
Qual è il tuo punto di vista sul declino incontrato dalla Scuderia Ferrari negli ultimi anni?
Secondo me in F1 esistono delle regole tali per cui è facile sbagliare, ma impossibile recuperare. Il processo al Cavallino Rampante diventa tempo perso nel momento in cui, se oggettivamente chi indovina il tema tecnico poi vince per cinque anni (e dall’abolizione dei test e dal freezing in poi è così, ne ho le prove, perchè 2009 a parte, dove quell’anno la macchina buona era la Red Bull che lo è restata per cinque anni, poi con l’era ibrida è diventata la Mercedes) e gli altri non riescono più a recuperare, allora di cosa parliamo esattamente? Non c’è possibilità di sviluppare la macchina, il motore, di fare prove. Il verdetto medio delle prime tre gare è sempre quello. Mettere in croce la Ferrari non serve a niente. Nessuno è mai riuscito, con questo regolamento, a recuperare lo svantaggio tecnico iniziale. Questa è la parte strana su cui dobbiamo soffermarci. Processare Arrivabene, Marchionne, facciamo solo un gran disastro in Italia. Ripeto, non c’è sviluppo libero. Se in una partita di monopoli non ridai le carte, chi ha via dei Giardini e Parco della Vittoria quando si prende una mazzata?
Al termine del 2016 registreremo due ritiri importanti, ovvero quello di Felipe Massa e di Jenson Button. Ti chiedo un ritratto personale ed un giudizio tecnico su di essi.
Felipe è stata una persona molto cara per me, quando correva da Morini con la Drago sono stato il primo ospite e vinse la Formula 3000 italiana. Poi è stato ospite ad Autosprint quando l’abbiamo premiato nel periodo in cui fu messo a piedi dalla Sauber e passò come collaudatore in Ferrari. Con lui ho un rapporto molto personale e carino, è davvero una gran bella persona. Molto umano, molto latino. Sembra un amico del liceo. E’ un pilota che è sempre stato chiamato alla grande impresa, il brasiliano che più di chiunque altro nel dopo Senna ha rischiato di vincere un Mondiale. Il vero campione del 2008, per quanto mi riguarda, è lui. Perché per quanto concerne ciò che faceva, la parte del suo impegno e nella sua rendita di pilota era avanti di una vittoria e mezzo su Hamilton. Ma certo è che se non tirava fuori una biella in Ungheria avrebbe vinto quel GP. Umanamente quell’anno aveva fatto tutto quello che serviva per battere Hamilton. Massa è sempre stato un pilota da pochi circuiti come Turchia e Brasile. Se penso a Massa quanto è stato gentile con la Ferrari, a certi momenti che ha dovuto sopportare, bastava un pizzico di sorte in più per avere un altro risultato in quel 2008.
Quanto a Jenson, quell’anno lo vidi in pista e guidava molto bene. Era un anno difficile e a soltanto 28 anni pensava di uscire dal circus. In estate sono stato in G.B. e su tutti i giornali, Autosport in testa, non si parlava assolutamente di Button. Nel giro di due mesi nasce la Brawn GP e improvvisamente torna alla ribalta. In certi momenti qualcuno è grande e merita di essere premiato. Jenson è stato questo. Se tutti gli anni dessimo l’oscar all’attrice più brava, da trentun anni vincerebbe Marylin Streep. La cosa bella del mondo dell’Oscar è che la Streep ne vince pochi, pur restando la più brava attrice dei tempi moderni. Grazie a dio, tuttavia, c’è ance spazio per Kate Winslet ed altre grandi attrici. In certi momenti e in certe narrazioni qualcuno, improvvisamente, merita l’Oscar ed è questo il fascino del cinema e della F1 che, per certi versi, è una fiction seria, una narrazione che va anche al di là della realtà. E allora viva il Mondiale di Keke Rosberg, quello di Damon Hill, quello di Jenson Button e quello mancato da Massa! Se tutti i Mondiali li avessero vinti i più grandi, invece che trentacinque campioni, avremmo cinque papi e sarebbe molto noioso.
Donnini per concludere l’intervista, quali sono i piloti e le figure che più ti hanno segnato nel mondo del Motorsport?
Héctor Rebaque, perché all’epoca eravamo in una F1 diversa fatta di Gilles Villeneuve, Mario Andretti e mi piaceva questo messicano che mi sembrava uno tipo me, cioè umano. Ricco, ma umano. Mi sembrava uno che grazie ai miliardi riusciva a portare la sua normalità in F1 e questo mi affascinava. Quando mi arrivò dall’Inghilterra la sua foto autografata fu una gioia indescrivibile. Ce l’ho ancora attaccata al muro. Quando Héctor andò a punti per la prima volta al GP di Germania 1978 con la Lotus privata, per me fu uno dei momenti più belli. Ripeto, era considerato un pilota che era in F1 perché aveva i soldi, il che era vero, ma in realtà aveva gli attributi e sapeva guidare. In quell’occasione Chapman al taglio del traguardo tirò due cappellini in aria, uno per Andretti ed uno per Peterson, poi aspettò e quando passò Rebaque tirò il terzo cappellino. Fantastico (esclamiamo insieme ndr). Un altro personaggio che mi ha segnato è stato Bob Wollek nella sua corsa infinita per vincere Le Mans, impresa che non gli è riuscita perché è morto travolto da un camperista a Sebring. Ma mi ha sempre colpito perché era un uomo che da più di trent’anni inseguiva un sogno e anche se era oltre i sessant’anni di età continuava ad inseguirlo ed era sempre veloce. Mi è sempre sembrata una cosa estremamente romantica. L’assolutizzazione del sogno.