Tutti hanno esaltato, e giustamente, la vittoria di Max Verstappen in Spagna, a coronamento di un inizio di carriera sin qui molto precoce e molto positiva, visto che dopo solo un anno di monoposto è riuscito, per la felice intuizione di Helmut Marko, a saltare in Formula 1 e a vincere alla prima gara in Red Bull. Ma questo trionfo ha un significato ulteriore, molto più profondo, che riguarda i meccanismi di accesso alla Formula 1, visto che il giovane figlio del Boss già all’arrivo in Toro Rosso ha sovvertito tutte le gerarchie e i piani che per anni hanno fatto scuola per quanto riguardava la Formula 1.
Se, infatti, come disse Toto Wolff, per arrivare in Formula 1 sono necessari 8 milioni di Euro da investire nelle formule propedeutiche, Max Verstappen ha dimostrato al mondo che non è così, anzi. Infatti, al giovane olandese, oltre all’indiscusso apporto del padre-manager (che spesso e volentieri lo insultava quando sbagliava qualcosa in gara) è bastata una stagione e mezza per far capire al mondo quale fosse il suo indiscusso valore, di cui la vittoria al Montmelò a ben vedere rappresenta solo una conferma. Se infatti si prende in mano la stagione 2013, ci si accorge che i risultati di Max sono stati sbalorditivi anche per un qualsiasi pilota di kart: vince la WSK Euro Series e la WSK Master Series, è Campione europeo KZ e KF (in contemporanea), vince il mondiale KZ e arriva terzo nel mondiale KF. Risultati pazzeschi anche se si pensa come sono maturate queste vittorie: basta ricercare i resoconti delle gare dell’epoca per rendersi conto che quelle gare venivano vinte spesso con distacchi abissali nei confronti di tutti, anche dei piloti più esperti nel mondo del karting.
Una dedizione pressochè totale e una concentrazione che non si è mai abbassata sono state le chiavi di questo successo, che è ancora più indicativo se si pensa che i kart KZ sono, per valori di accelerazione e frenata, i mezzi di competizione più vicini come comportamento a una monoposto di Formula 1. Jos e Max sono riusciti a creare intorno a loro un ambiente vincente, sotto tutti i punti di vista, che si è poi trasferito nel momento dello sbarco in monoposto, culminato con il terzo posto finale nella FIA Formula 3 Euroseries. Ma probabilmente, Helmut Marko lo stava già tenendo d’occhio da prima, visto che il giovane olandese ha firmato con la Toro Rosso ben prima della conclusione della serie. E da qui emerge la considerazione di fondo di questo ragionamento: per arrivare in Formula 1 quanti anni di gare propedeutiche devono essere affrontati? E con quali mezzi? L’olandese, in un colpo solo, ha messo alla porta molti piloti che disputano e vincono monomarca prestigiosi (vedi Formula Renault), serie promosse in vicinanza e in prossimità della Formula 1 (GP2, GP3 – a proposito, sostituendo Kvyat ha messo all’angolo il Campione della GP3 del 2013 – ) e altre serie che, forse, rappresentano l’anticamera della Formula 1, disputando solo una stagione in una serie che forse viene a torto ritenuta ai margini e con un enorme background kartistico alle spalle, fatto di 10 anni di successi pressochè continui.
Ecco che, quindi, forse tutte le strutture messe in piedi dai team per allevare giovani piloti dovranno cercare nuove strategie, individuando percorsi formativi diversi rispetto a quelli che per anni erano convenzionalmente riconosciuti, considerando anche la generale confusione che ruota intorno alle formule propedeutiche. Perchè grazie al karting e agli insegnamenti del padre, il neo-pilota della Red Bull è cresciuto a livelli tali
da essere già un leader all’interno di un top team non appena ci ha messo piede, sorpassando anche Ricciardo, vista la sua grande capacità di lettura e analisi delle situazioni e di infondere serenità al suo gruppo di lavoro. Prova ne siano le sue recenti dichiarazioni, in vista di Montecarlo, in cui pensa che la RB12 sui tracciati cittadini possa esprimersi addirittura meglio che a Barcellona.
Ma il segreto di Max è uno: l’umiltà. Quella dote che gli consente di volare alto mantenendo ben saldi i piedi per terra. Il giovane olandese si è infatti ancora definito inesperto al volante della monoposto di Milton Keynes (ha confessato che nel suo casco non ha ancora fatto il foro della cannula per bere) e deve ancora imparare molto della nuova monoposto, ma le premesse sono più che positive, così come le prospettive di crescita. E di certo, trovarsi di fronte a un potenziale campione del mondo a 18 anni fa riflettere in merito ai percorsi di formazione che i piloti sono chiamati d affrontare.