29 agosto 2015 – Pubblichiamo l’articolo che avrebbe dovuto essere l’anteprima storica del Gran Premio d’Austria, che ha come protagonista un nome che si può definire uno dei più grandi talenti inespressi nella storia di questo sport, che nella sua carriera avrebbe potuto raccogliere molti più risultati di quelli che ha ottenuto, tra cui conquistare certamente un Mondiale che avrebbe conseguito con pieno merito.
Stiamo parlando di Ronnie Peterson e il racconto che vi proponiamo è legato al Gran Premio d’Austria 1978, la sua ultima affermazione e quella che ha regalato alla Lotus il Mondiale costruttori.
Ronnie Peterson, è risaputo, era un pilota di ghiaccio, non sorrideva mai e quando era al volante non si risparmiava, risultando spesso e volentieri decisamente più veloce dei suoi compagni di squadra. In quel dannato 1978 dovette fare i conti anche con il suo team manager, che non era uno qualunque bensì Colin Chapman, uno dei più brillanti team manager della storia, che ha deciso in quella stagione di puntare tutto su Mario Andretti. Ronnie non ci sta, ed è ben intenzionato a dimostrare in pista di valere anche qualcosa in più del compagno di squadra. E a Zeltweg, immancabile, il duello si presenta ancora una volta già in qualifica, dove Peterson e Andretti ballano sul filo dei centesimi nel corso di qualifiche particolarmente tormentate, con lo svedese che alla fine la spunta per appena cinque centesimi. Un’inezia, ma che è la conferma che, quando c’è bisogno di tirare fuori quel qualcosa in più, Ronnie risponde sempre presente, in barba al soprannome Piedone che accompagna il compagno di squadra.
In gara, quella che sembrava essere un’altra fase del duello si trasforma ben presto in un monologo di Peterson, che imprime una lezione abbastanza dura da digerire per l’italoamericano, che sembrava essere destinato a comandare senza rivali in classifica.
Andretti, infatti, sbaglia la partenza e dopo tre curve va a toccare la Ferrari di Reutemann e si ritira. Fine dei giochi. Anche perche Peterson si invola verso la vittoria, forse la più facile delle vittorie, danzando sull’acqua come se si trovasse sull’asciutto. E nemmeno l’interruzione con la bandiera rossa, che avviene al settimo giro, riuscirà a fermarlo, tant’è che, nella confusione generale della ripartenza, la somma dei tempi permette di capire ben presto che il vantaggio di Peterson era ormai incolmabile, di quasi 50 secondi su un’altra speranza dell’automobilismo mondiale, Patrick Depailler, che nelle ultime fasi di gara si prende la soddisfazione di battere Gilles Villeneuve, in crisi di gomme, distanziandolo di quasi 1 minuto. Dietro di loro, tutti doppiati, a iniziare da Fittipaldi, Laffite e Brambilla. La vittoria permetterà a Peterson di dimezzare il distacco da Andretti e di prolungare ancora il duello, ma quella stagione si concluderà amaramente con il tragico incidente di Monza in cui lo svedese perderà la vita, che consegnerà il titolo all’italoamericano. Ma questa è un’altra storia.