5 dicembre 2014 – F1Sport.it ha avuto il piacere di intervistare una grandissima figura delle corse automobilistiche italiane di metà anni ’90: Giovanni Lavaggi. Il Conte Giovanni Lavaggi ha corso in Formula 1 per Pacific e Minardi a metà degli anni ’90 e nel 1993 ha vinto la prestigiosa 24 ore di Daytona, primo italiano a riuscirci dopo il trionfo con Bandini nel 1967. Giovanni Lavaggi è anche uno delle poche personalità del motorsport ad essere stato contemporaneamente ingegnere progettista, manager e pilota di una sua vettura (la Lavaggi LS01). Non ci resta che augurarvi: buona lettura!
Giovanni, Lei è stato pilota sia della Pacific sia della Minardi, due team che tra il 95 e il 96 non se la passavano affatto bene. Ci saprebbe dire, dopo circa 20 anni, le differenze tra le due filosofie di fare squadra e, se possibile, di raccontare un aneddoto per entrambe le sue esperienze?
Certamente sia Pacific che Minardi attraversavano un momento di gravi difficoltà finanziarie quando ho corso per loro. Non potrei riferire con obiettività le differenze nel modo di “fare squadra” per il semplice motivo che, essendo italiano, era molto più semplice, per me, rapportarmi con il team Minardi, piuttosto che con la Pacific. Anzi, dirò di più, lo staff Minardi era composto, per gran parte da Romagnoli, che, si sa, hanno carattere “sanguigno”, un po’ come me che sono siciliano; quindi c’era una naturale empatia. Per contro, gli Inglesi hanno un carattere poco espansivo, pertanto, dal mio punto di vista, le differenze erano abissali.Quanto agli aneddoti, ne avrei tanti da raccontare, ma finirei per dilungarmi troppo.
Oltre che pilota, Lei è stato anche meccanico, progettista e team manager, ricoprendo tutti i ruoli di una scuderia. A suo avviso, premesso che un pilota debba avere in sé un bagaglio di conoscenze tecniche che gli consentano di correre, quanto sono competenti i giovani piloti di oggi sotto l’aspetto tecnico e anche manageriale, prendendo spunto dai recenti rapporti tra Chrijstian Albers e la Caterham?
Non credo che i piloti di oggi abbiano profonde competenze tecniche, né manageriali. D’altro canto non ne hanno bisogno. Infatti, dal punto di vista tecnico, gli ingegneri, con le centinaia di sensori e componenti elettronici installati sulla vettura, hanno tante di quelle informazioni da credere di non aver bisogno delle indicazioni del pilota; mentre dal punto di vista manageriale, il pilota viene messo sotto contratto da un manager o da un’organizzazione già da piccolo e viene costantemente indirizzato nella sua carriera, fin dai primi passi sui kart.
In questi giorni, si parlato molto di inserire nella griglia di partenza di Formula 1 le così dette Super GP2. Cosa ne pensa dell’idea di Ecclestone di inserire le Super GP2?
In F1, le soluzioni tecnico/sportive sono dettate innanzitutto dagli interessi economici del Circus e dai vantaggi tecnici che i principali costruttori intendono mantenere; solo in via gradata si pensa alle esigenze di spettacolo e di soddisfazione del grande pubblico di appassionati. Ecco perché, per sopperire a evidenti e croniche carenze su questo secondo fronte, si ricorre a soluzioni palliative come gli innumerevoli pit-stop (e meno male che hanno almeno abolito i pericolosi rifornimenti) o il DRS, piuttosto che redigere regolamenti tecnici delle vetture che favoriscano lo spettacolo.
Ovviamente anche l’introduzione di SuperGP2 per riempire la griglia mi sembra una soluzione che snatura la F1. Ai miei tempi c’era la regola del 107% perché non si volevano vetture troppo lente e adesso si propongono le GP2, seppur potenziate?
Credo che sarebbe molto meglio pensare a soluzioni che favoriscano un po’ di più i team minori, che, tra l’altro, devono già conferire gran parte del loro budget annuale ai costruttori maggiori per pagarsi i motori.
Ricollegandoci alla domanda precedente: E’ possibile per un piccolo team di Gp2 tentare l’avvicinamento alla Formula 1 partendo proprio da una “Super GP2”?
Ci sono stati in passato dei casi di team che dalla GP2 hanno tentato l’avventura in F1. Io stesso ho fatto esperienza con uno di questi team (Pacific); ciò nonostante bisogna considerare che il cambio di categoria comporta delle differenze sostanziali. Le GP2 sono comprate e non costruite dai team come, invece, accade in F1; quindi si tratta di squadre organizzate in modo completamente diverso. Non vedo, pertanto, per i team di GP2, maggiori chances di passare alla F1, solo per il fatto di gestire delle SuperGP2.
Se lei potesse attuare dei cambiamenti in questa F1, per migliorarne lo spettacolo, quali regole cambierebbe o quali introdurrebbe?
Mi spiace dirlo, ma purtroppo bisognerebbe andare indietro nello sviluppo tecnologico/prestazionale per rendere le F1 più spettacolari. Occorrerebbe dare maggior peso al lavoro dei piloti abolendo le miriadi di controlli elettronici, e, contemporaneamente, occorrerebbe allungare gli spazi di frenata e diminuire la sensibilità aerodinamica. Sostanzialmente bisognerebbe aumentare il peso, limitare le appendici aerodinamiche (in numero e superficie), l’elettronica e l’efficienza frenante.
Ci sono categorie che fanno spettacolo con vetture tecnologicamente molto meno evolute, ma non credo proprio che i maggiori costruttori possano mai essere d’accordo su modifiche del regolamento nel senso da me indicato; quindi continueremo a vedere una F1 noiosa.
Nella sua carriera, oltre che pilota di F1, è stato anche protagonista di spicco negli Stati Uniti; in particolare nella Interserie ed è stato anche vincitore della prestigiosa 24 ore di Daytona (primo italiano dopo l’indimenticabile Lorenzo Bandini nel 1967). Quali sono, secondo lei, le principali differenze nel concepire le corse tra Europa e Usa?
In America decisamente ci si diverte di più. C’è una visione più “romantica” dell’automobilismo sportivo e, seppur si affrontino le corse con estrema professionalità, l’atteggiamento è sicuramente meno serioso che in Europa.
Inoltre, il rapporto col pubblico e gli appassionati è più cordiale. Non ci sono le separazioni fra gli “operatori” e gli spettatori; il paddock non è un circolo per pochi eletti e l’accesso è aperto al grande pubblico. Personalmente mi ritrovo molto di più nello stile americano di vivere lo sport automobilistico che in quello europeo.
Qual’è al momento secondo Lei il miglior giovane pilota italiano? In un’epoca di crisi e di piloti giovani che non riescono ad approdare nella massima serie, cosa dovrebbe fare un giovane per “distinguersi dalla massa” e cercare di raggiungere la Formula 1?
Non conosco abbastanza i giovani piloti italiani per poter dare un giudizio di merito. Oltretutto ritengo che un pilota non debba essere valutato semplicemente dai risultati, ma da quello che riesce ad esprimere in rapporto alla vettura con cui gareggia, pertanto bisogna osservarlo molto da vicino.
Non credo che le colpe per la carenza di giovani piloti italiani siano da ricercare nei piloti stessi, bensì sulle istituzioni, le case automobilistiche e gli sponsor italiani, che non fanno una politica di valorizzazione dei talenti di casa nostra.
In Europa abbiamo avuto numerosi buoni esempi; mi vien da pensare alla Germania con ADAC, Mercedes, Porsche, e altri costruttori, alla Francia con Renault Peugeot e Total, alla Spagna (RACE, Repsol, Santander) …… non mi pare che in Italia l’ACI, la Ferrari, la Fiat, l’Agip (solo per fare alcuni esempi) si siano mai distinte, con programmi di medio/lungo termine per la valorizzazione di giovani talenti italiani.