09 ottobre 2014 – F1 sicura da morire. Non basta l’elevatissimo standard di sicurezza delle vetture, serve un contorno più professionale.
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Sia chiaro, cio’ che è successo a Jules Bianchi in Giappone è un incidente gravissimo che ha avuto sul pilota effetti devastanti, ma è anche vero che nonostante l’impatto esplosivo il corpo del pilota non ha subito fratture o danni esternamente visibili. Questo perche il livello di sicurezza delle moderne vetture di F1 è elevatissimo, possiamo sostenere che va oltre il limite dell’umano.
La vettura con le cinture di sicurezza, il roll-bar, il “collare” HANS e la cellula di sopravvivenza hanno protetto in modo esemplare il pilota ma è stato proprio il corpo del pilota a cedere nel suo interno causa la violentissima decelerazione subita, circa 50 volte la gravità terrestre. Il danno assonale, la rottura dei collegamenti tra i neuroni, è avvenuto a causa dell’impatto ma i suoi effetti sul corpo rimangono effettivamente invisibili.
In questi anni abbiamo visto incidenti pazzeschi. Su tutti vale la pena di ricordare il botto di Robert Kubica al GP del Canada nel 2007, o gli impatti di Kimi Raikkoen a Monza sempre nel 2007 ed a Silverstone durante il corso di questa stagione, o ancora il volo di Webber a Valencia nel 2011. In queste e in altre occasioni le auto coinvolte hanno assorbito gli urti (il carbonio si sbriciola dissipando al massimo l’energia cinetica dell’impatto) proteggendo chi si trovava in abitacolo.
Le cellule di sopravvivenza sono sempre più protettive e rivestite di pannelli anti-intrusione, i roll-bar devono sopportare stagione dopo stagione carichi sempre più importanti. La F1 in campo di sicurezza va sempre più verso l’essere una scienza esatta ma cosa succede quando si verifica ciò che la scienza non può prevedere? Cosa succede se una vettura schizza via e centra un mezzo di soccorso che non è nient’altro che un mastodontico Caterpillar? Cosa succede se il gruppo lanciato a tutta velocità trova davanti a sé una Jeep e non la Safety-Car (vedi GP di Corea 2013)?
La risposta è univoca. Se è vero che le macchine sono sicure come forse non lo sono mai state nella storia, è pur vero che non bisogna scordare che in questo sport esiste una componete di imprevedibilità che nessuno potrà mai controllare. Ma è altrettanto vero che la sicurezza delle monoposto è inversamente proporzionale alla preparazione di alcuni paesi ad ospitare gare. Qui si celano zone d’ombra che generano pericoli tranquillamente evitabili (vedi proprio la Jeep in Corea).
I nuovi GP si corrono in paesi che non hanno la cultura del motorsport e di conseguenza accade che in certe situazioni si trovino impreparati. La sfida del futuro per la FIA, dopo aver reso più sicure le auto e le piste, dovrà essere quella di investire sulle persone che operano intorno alla pista. Quando tutte le gare saranno seguite dagli stessi marshall in tutto il mondo, le operazioni anche più banali saranno svolte coi giusti automatismi e con i medesimi metri di giudizio. Solo cosi si potrà parlare di sicurezza. Da vent’anni non accadeva nulla di così brutto in F1, ci eravamo illusi. E necessario correre ai ripari, il campanello d’allarme è già suonato.