F1 | Storia, Hockenheim 94 : 4 anni dopo, è di nuovo Ferrari

31 luglio 2014 – Vedere gli altri vincere è dura. Vederli dominare è un pugno al cuore. Ma vederli sia vincere che dominare, mentre tu non riesci manco a portare a casa un trofeo da vincitore, è davvero lancinante. Astinenza, austerità, mancanza, digiuno da quel gradino più alto del podio che a Maranello era diventato tabù, vent’anni fa crollò. La Ferrari torna a vincere. 

58 Gran premi con l’urlo ricacciato giù in gola, con la bandiera rimasta nell’angolo del salotto anzichè sbandierata sul terrazzo di casa e con la sensazione che i vecchi fasti sono davvero lontani. In mezzo a questi 58 Gp tante: polemiche, teste mozzate, campioni scappati, fenomeni agognati ma mai arrivati, piloti dal futuro pressocchè bruciato e tanti progetti proclamati come innovativi e vincenti e invece rivelatasi fallimentari. Uomini coraggiosi e dal cuore grande come caserme che cercavano in tutte le maniere di rompere questo tabù maledetto, ma vuoi la sfiga o vuoi l’imprevisto di turno bisognava sempre rinviare. Inaccettabile per la Ferrari questa astinenza dal gradino più alto del podio.

Da quel Gran Premio di Spagna 1990 (vinse Prost) si arriva al Gran Premio di Germania del 1994. Berger ottiene una straordinaria pole position che mancava da 59 Gp (uno in più rispetto alle vittorie: Mansell Gp Portogallo) con un tempo eccezionale. Mezzo secondo rifilato al compagno Alesi che soffia la prima fila all’idolo locale Schumacher per soli 14 millesimi, nonostante un cofano motore pericolosamente volato via in pieno rettilineo. Gli altri ancor più lontani. Dal muretto con cuffie enormi e interfono alzato su a mo di antenna Jean Todt, al timone Ferrari da poco più di un’anno, annuisce soddisfatto. La 412 T1B che ha debuttato poche settimane prima in Francia va bene. La strada imboccata sembra essere quella giusta, ma prima di squillare trombe vittoriose, bisogna attendere 44 giri su uno dei circuito più massacranti per i motori: il vecchio Hockenheim.

4864Quel 31 Luglio 1994, il sole tedesco spinge come non mai. Fa un caldo da esodo estivo sulla A14 e sugli spalti i tedeschi si rinfrescano inneggiando il nuovo idolo locale Schumacher. Alle 14 ore locali, i semafori si spengono ed è subito il finimondo. A centro gruppo si toccano la Lotus di Herbert e la Sauber di De Cesaris, mentre all’ingresso della Nord Kurve si toccano Hakkinen e Coulthard. Da questi due contatti ne scaturiscono due incidenti distinti che mettono fuori gioco, oltre ai già citati: Blundell, Frentzen, Irvine, Barrichello, Martini e Zanardi per un totale di 10 vetture coinvolte. A sorpresa la direzione gara non annulla la partenza ma fa proseguire il Gran Premio mentre i commissari ripuliscono la pista dai detriti. Ma si!

Pochi metri dopo il via la prima doccia gelata in casa Ferrari. Alesi, scattato ancora una volta benissimo dalla prima fila, alza il braccio destro in segno che ha problemi. Guai di natura elettronica lo costringeranno a parcheggiare la sua Ferrati 412 T1 dopo neanche un giro. Se la gara fosse stata sospesa, la Ferrari avrebbe potuto schierare nuovamente due vetture, in quanto il muletto era adattato a Jean Alesi. Dicevamo sopra? Ah si, sfiga. In alcuni casi neanche il più preparato ingegnere può dare una spiegazione diversa da quella.

Con Alesi fuori, la Ferrari rimane in gara con la 412T1 di Berger che comanda davanti a Schumacher. I due fanno subito il vuoto, girando su tempi inavvicinabili per tutti. Ad aiutare la fuga, ci pensano alla Williams, con Hill afflitto da problemi al motore e Coulthard attardato a causa di un pit stop al primo giro per riparare il muso danneggiato al via e poi costretto al ritiro poco più avanti.

incendio-verstappen-gp-germania-f1-1994Con il gruppo ormai drasticamente diminuito, ecco che inizia la girandola dei pit stop con quello che diventerà probabilmente la più famosta sosta ai box di tutti i tempi. Verstappen su Benetton si ferma al 15esimo giro e al momento del rabbocco (a causa di un bocchettone inserito male e di una probabile membrana di sicurezza rimossa dai meccanici di nascosto per velocizzare le procedure) ecco che il carburante schizza fuori innondando la B194 di carburante che a contatto con le parti roventi della carrozzeria prende subito fuoco. In un niente il fuoco avvolge la vettura con meccanici, sia Benetton che dei box limitrofi, subito a sparare liquido estinguente sulle fiamme. Sono 5 secondi di paura e terrore, fortunatamente domati. Verstappen, già sceso dalla vettura, si toglie via la tuta ignifuga ed è già li che se la ride di buon gusto.

Pochi giri dopo, arriva la seconda tegola in casa Benetton. Schumacher, secondo dietro Berger, si ritira con il motore KO. I tedeschi sugli spalti si ammutoliscono, ma alla fine si consolano: una Ferrari è al comando e in totale solitudine. Berger, che non ci stancheremo mai di dire quanto fosse brava l’amica di letto che aveva dalle parte del Hockenheimring, guida da maestro del “fagiolo” di asfalto immerso nella foresta tedesca. Dietro di lui un vuoto colossale. Come se tutti quei secondi che metteva tra se e i suoi inseguitori fossero pugni presi in faccia in 4 anni che vengono ricacciati al mittente. Una Ferrari finalmente bella e vincente come deve essere davvero. Una Ferrari finalmente che ritrova la propria natura nel posto dove è nata per stare: in testa a tutti.

imagesDopo altri 25 giri col fiato sospeso dopo il ritiro di Schumacher, Berger taglia finalmente il traguardo e chiude finalmente il digiuno dalla vittoria più lungo nella storia della Ferrari. La gioia nel box esplode incontenibile, le bandiere tornano a prendere aria e si tolgono di dosso polvere di 4 anni di sofferenze, delusioni e occasioni mancate.

La Ferrari era tornata. Un’unico giorno per cancellare 4 anni terribili. Un’unico giorno per dimenticare errori dovuti a troppe teste che volevano comandare in un caos che sembrava una bolgia dantesca di uomini in giacca e cravatta ma che la passione rossa proprio non ce l’avevano. Quel giorno tutti capirono che la strada intrapresa un’anno e poco più prima era quella giusta, ma nessuno immaginava che quella sarebbe stata solo la punta dell’iceberg di uno dei periodi più vincenti nella storia della Formula 1.