F1 | Nico Rosberg: un ritiro tra mille punti interrogativi

Il tedesco di Wiesbaden ha certamente compiuto un atto ‘rivoluzionario’ nel mondo della massima serie, annunciando il ritiro poche ore dopo l’investitura a Campione del Mondo  a soli 31 anni. Ma quali ripercussioni avrà questa scelta drastica sulla carriera di Rosberg? E, soprattutto, quali motivi hanno spinto il figlio di Keke a dire basta?

Di Alessandro Bucci

Chiariamoci subito: a rendere speciale e molto fuori dal coro l’opzione di Nico Rosberg non è tanto la cosa in sé, ma le modalità ed il tempismo intraprese dal tedesco nel selezionarla. Senza dimenticare, ovviamente, la giovane età del marito di Vivian. Ormai in questi giorni è stato scritto di tutto e di più sul biondo ex Mercedes e quindi spendere parole su elementi come “la famiglia ha vinto sul dio denaro” suona già quasi come una hit sul viale del tramonto.

Beh, oddio, in un certo senso è vero: Nico Rosberg ha annunciato il ritiro dalle corse (non solo dalla F1) per vivere serenamente la vita di papà, preparandosi all’arrivo di un nuovo bebè. Un modo per certi versi simbolico di dire “basta!” ad una vita stressante e tutta improntata allo show e sotto la luce dei riflettori. Come ha giustamente evidenziato il papà Keke, lo stress a cui sono sottoposti questi ragazzi nell’arco di 21 gare con le vetture che praticamente non si rompono mai, è davvero enorme. Nico ha centrato un obbiettivo inseguito per oltre due lustri tra mille difficoltà e rospi talvolta giganti da ingoiare. E’ giusto quindi dire basta, “fregandosene” di tutto e tutti? Forse sì. A parere di chi scrive, molto.

Perché in fondo, la categoria odierna denominata Formula 1 i soldi del biglietto non li vale neppure tutti. E sono i fatti a dare ragione al sottoscritto, con le tribune sempre più spoglie di appassionati e cattedrali nel deserto incentrate sulla miope e talvolta stomachevole filosofia Ecclestone tutta improntata sul dio denaro. Come ha recentemente affermato lo storico giornalista Carlo Cavicchi ai nostri microfoni: “in Formula 1 non si fa beneficenza”. Tutto vero, nulla da eccepire in tal senso, ma ad ogni cosa dovrebbe esserci almeno una parvenza di limite.

L’uscita di scena di Rosberg, tuttavia, apre a scenari drammatici per il tedesco in caso di ripensamento: al giorno d’oggi già é molto difficile rimanere in F1, con sempre meno sedili disponibili e il dominio incontrasato di un solo team come tendenza. Nico è ancora giovane, sia anagraficamente che professionalmente parlando. Eppure, in caso di ripensamento del “Leo Di Caprio” della Formula 1, non è affatto detto che trovi un posto al sole. La competizione è serrata, di giovani talenti se ne vedono e in un mondo plasmato dal business sfrenato come quello della categoria regina, non è affatto detto che le virtù e gli allori vengano tenuti molto in considerazione. Penso a Nigel Mansell, quando da fresco Campione del Mondo ’92 andò da Sir Frank Williams chiedendo il raddoppio dell’ingaggio e questi non ci pensò due volte a mandarlo a quel paese. Al suo posto fu chiamato Alain Prost in “missione alloro iridato”, dopo una stagione spesa a girare “sotto ai banchi” del paddock (Ayrton Senna cit.). Obiettivo che, tra l’altro, il Professore portò a casa con la consueta freddezza mista ad abilità di calcolo, facendo fronte oltretutto anche a qualche inconveniente di troppo (Monaco ’93 solo per fare un rapido esempio).

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